Cronache dialettali
(Q.C.
XVIII N. 12 - DISSENBRE 2000)
- Mai come davanti a questo numero natalizio abbiamo desiderato
di disporre di due o tre pagine.La ricchezza e la varietà
degli argomenti trattati le avrebbero meritate, ma disciplinatamente
ci limitiamo ad una non facile scelta.
- Luca Binotto chiede che credito si può dare alle affermazioni
dell'umanista Pontico Virunio, per il quale la desinenza
veneziana -ao e quella dei verbi greci in -ao provano
una dipendenza linguistica del veneziano dal greco (p.
4).Si può rispondere tranquillamente: nessuno.La coincidenza
è puramente casuale e non sarà in questo inconsistente
rapporto che andrà cercata l'influenza del greco sul veneziano.
- Bepi Famejo chiama il "mento" barbato: "la batéa el
barbato dal fredo" (p.6). Se vogliamo verificare qualche
estensione abbia questa parola ci è di valido aiuto il
fondamentale Lessico etimologico italiano di Max Pfister,
che non accoglie, però, nessuna testimonianza di barbato
con il senso di "mento". Si tratta sicuramente di un errore
di stampa, che va corretto con "barboto", mento.
- Ci ha incuriosito una affermazione di Ugo Suman: "Co
sta parola rubesco Camilo de la Giulia intendéa burrascoso,
tormentà, pien de magagne...; se dovarìa dire rubesto,
che 'l xe un vocàbolo doparà da Dante par significare
un fià de più de robusto e de gajardo" (p. 7).Ma è la
stessa parola? Diremmo di sì: nella letteratura italiana
rubesco pare non esistere, ma il legittimo rubesto ha
alcuni significati affini al repertorio del bizzarro Camilo.
- Gigi Vasoin adopera nella sua introduzione alla tradizione
natalizia della Ciara Stela una parola latina: "go contà
altre volte cossa che fasévimo, el passio par vignere
Padova a scola tute le matine" (p. 10) Qui la parola latina
conserva il suo valore originario di "patimento, sofferenza",
mentre popolarmente è passata dall'accezione liturgica
di racconto della passione di Cristo a "cosa lunga, interminabile":
longo come el passio.
- Dinerio, che salutiamo al suo ritorno nelle pagine di
Q.C., constata che "no xe pi itenpi de la lorda có no
ghe gera altro che 'l beveragio a oltransa" (p.28). Interessante
quel lorda "grande fame", di cui si può dire soltanto
che facilmente è di origine gergale. E aggiungere anche
che è arrivato fino al greco moderno, anche se gli studiosi
ellenici si mostrano restii a riconoscerne l'origine veneziana.
E sì che è registrato anche nel dizionario del Boerio!
- Cosa significhi sìfer in un passo in bellunese di Biancamaria
De Vecchi ("te'l colmo i dovéa star atenti, parché n'era
al sifer e afioréa grosse piere" (p.54) non lo sappiamo,
ma ci aiuta Mario Klein, che ce ne offre la definizione:
"terreno pietroso" (p.16). Ci sembra parola completamente
isolata, che ricorda il tedesco Schiefer "scisto, ardesia".
- La inclinazione del trevisano oltrepiave verso i dialetti
del nord), se vogliamo, le concordanze con essi) è confermata
dal questut citato da Emanuele Bellò: "ne la Sinistra
Piave da Nadal fin a l'Epifania se continua fare el questut,
'na questua de legne e dolçi par la sera del panevin"
(p. 56). Sembra parola di filiazione dotta, non accolta
nei dizionari dialettali, ma il suffisso -ut è tipicamente
friulano.
- Misteriosi nomi del "muschio" vengono a galla nell'occasione
delle descrizioni del presepio.A Conegliano, ci informa
Laura Da Re, lo chiamano lopa: "la tradission la voléa
che tuti i tosatei del paese i 'ndesse a cior su la lopa
(muschio)" (p. 56). Non riusciamo, per ora, a scoprirne
l'origine. Possiamo solo accostarle la lópa di Revine
Lago, definita "erba che non viene falciata e che quindi
rimane sul prato anche negli anni successivi", e il significato
di "pula" che ha loppa in italiano. Diverse spiegazioni
- e nessuna soddisfacente - ha invece un altro nome padovano-vicentino
del muschio che adopera Ugo Suman: pigno (p.7).
- Busìe significa, lo sanno tutti, "bugie", ma non tutti
sanno che vuol dire anche "trucioli, segatura", come si
usa tuttora non solo a Marano Lagunare ("Le ciamévomo
busìe sì le strìssole che spissévomo de i pai", Bruno
Rossetto "Doria", p.60), ma anche nei dialetti lombardi.La
motivazione si deve, forse, cercare nelle tradizioni popolari.
- A Cavarzere, secondo Giovanni Zanninello, chiamano baco
da tajadele il "mattarello" per spianare la pasta: "dolce
de pasta a sfoja, tirà col baco da tajadele" (p.66).La
voce, presente in tutta l'Italia settentrionale (ma più
fittamente in Liguria, Lombardia ed Emilia), è diretta
derivazione latina (da *baccum "bastone).
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Dal nùmaro de Febraro:
Editoriale
Vìvare ne la gioia.
Co tuto el turbio che ghe xe in giro, che sia possìbile recuperare un fià de
serenità e no vìvare senpre te'l pessimismo pi nero?
de Mario Klein
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El
pan: l'oro de i pòpoli
Le me esperiense de putèo a fare el pan. La so
storia infinita da la note de i tenpi. Sìnbolo de unità familiare, de amore
e de fecondità. El durarà fin a la fine de l'omo.
de Gigi Vasoin
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Cronache
dialettali
(Q.C. XVIII N. 12 - DISSENBRE 2000).
di Manlio Cortelazzo
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None
Gente veneta
di M. Luisa Zilio Furin
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Storia de do leoni
Robe de Ciósa
El leon de Ciósa, el leon de Cavàrsare.
a cura de Angelo Padoan
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Gastone Nuñez
Gente de Verona
On tesoro d'arte da visitar a San Pietro di Morubio: trédese tele par "Omaggio a Dio nostro Padre".
de Lucia Beltrame Menini
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